La Valanga azzurra - Italian do it better
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È così che il giornalista della Gazzetta dello Sport Massimo Di Marco descrisse e soprannominò la squadra A di sci alpino dopo lo storico evento del 7 gennaio 1974.
Quel lunedì, nella località tedesca di Berchtesgaden - proprio sotto il nido dell’aquila di Hadolf Hitler, - in una pista molto stretta ed un tracciato corto, ma angolato e tecnico, la nostra brigata si aggiudicò le prime 5 posizioni dello slalom gigante.
La stazione sciistica era fornita di impianti di risalita datati e le pista, come detto in precedenza molto impervia, non permetteva la presenza di telecamere negando la possibilità di vedere nessun video di quelle gesta eroiche.
Al primo posto ci fu il piemontese Piero Gros, con il secondo tempo il supereroe della sua generazione Gustav Thoeni, a seguire Erwin Stricker, Helmuth Schmalzl e infine Tino Pietrogiovanna.
“Il colonnello sta mollando i freni”
Il colonnello Tino Pietrogiovanna portava i baffetti come il suo superiore nella Polizia. Scese con il 43 e diede tutto, alla ricerca di un quarto posto che gli avrebbe valso la qualifica ai Mondiali. Non ce la fece, però il quinto posto fu comunque un’impresa. Tino era scarso di vista, eppure agli inizi sciava senza occhiali. Le buche non le vedeva, ma le ‘‘avvertiva’’: aveva sviluppato una sensibilità che gli fu utile, a Berchtesgaden una pista diventata un campo di patate gli deve essere sembrata liscia.
Come spiegò in futuro l’allenatore Mario Cotelli, una volta conclusa la sua carriera da allenatore e guida della Valnga Azzurra ornata di vittorie e gloria, i due fenomeni Thoeni e Pierino erano in un’eterna relazione di rivalità alternata da un’amicizia solida.
Mario spiegò come Pierino Gross fosse molto talentuoso ma peccava di costanza, determinazione e laboriosità che invece contraddistinguevano Thoeni. Queste furono le caratteristiche capaci di renderlo il campione che conosciamo tutti.
Gustav era infastidito dalla relazione tra impegno e risultati di Pierino, fino al punto di non presentarsi sul podio, unica foto della fis a cui manca un concorrente premiato.
E’ stata proprio questa competitività a fare da locomotiva per tutto il gruppo di allora, formato da altri atleti oltre ai magnifici 5 del 7 gennaio, cito il mio preferito Paolo De Chiesa.
La carriera del grande Paolo è affrescata da grandi piazzamenti e da convocazioni sia ai mondiali che alle olimpiadi, senza tuttavia raggiungere il gradino più alto del podio, causa anche il fatto di aver vissuto all’epoca di fenomeni senza tempo.
Ad esempio il suo primo podio (2° piazzamento) lo conquistò in “casa”, a Madonna di Campiglio, nello stesso giorno della prima vittoria dello sciatore maschio con più titoli vinti in assoluto (86 vittorie) Ingemar Stenmark.
Da lì in poi Paolo ottenne altri 11 podi e 50 piazzamenti nei primi 10 in coppa del mondo, conquistando il diritto sul campo di essere membro della Valanga Azzurra.
La Valanga Azzurra si spense pian piano verso il 1979 a causa di diversi eventi che la portarono all’esasperazione.
In primis sottolineo la disgrazia legata al nome di Leo David, entrato in coma dopo una caduta in discesa libera in Canada, decedendo sei anni dopo.
L’evento creò una crepa sia tra gli atleti sia tra i tecnici i quali vennero accusati di non aver valutato con cura le condizioni fisiche del ragazzo.
Inoltre, Arrigo Gattai, allora presidente della Federazione Sport Invernali, ascoltando i senatori e dando importanza alla loro percezione del momento, stoppò il cambio generazionale della squadra che avrebbe potuto dare energia e linfa alla stessa.
Cosi facendo i senatori si presero gl’ultimi attimi di gloria sacrificando circa un quinquennio di risultati positivi del team Italia, che vedrà riscossa la sua posizione solo con l’avvento del mitico Tomba La Bomba.